Lo sgombero a Tor Cervara
Notizia di oggi: sgombero a Tor Cervara: un palazzo restituito alla legalità! Auto della polizia e diverse camionette impegnate tutto il giorno. Sono soldi ben spesi, pensiamo.
Ci viveva Abdou con altri ottanta. Aveva venduto tutto il bestiame per lasciare il Gambia. La prima tappa è stata il Senegal, dove si viene derubati e picchiati. Lavora per raccogliere altri soldi e passano i mesi. Tocca alla Mauritania ora derubarlo e picchiarlo. Altri mesi di lavoro e difficoltà, e c’è ancora il Mali, un territorio immenso. La Libia è un grande buco nero: non ne vuole parlare; dice: “voi non sapete cosa sono i libici”. È così: “cosa” sono, perché non hanno nulla di umano. Lager di violenza, stupri e schiavitù. La partenza su una barca è gioia pura: è finita! Non importano i giorni di mare e i campi italiani. Che gioia vedere Roma! Lo raccontano tutti il loro primo giorno. Sono passati quattro anni, ma ce l’ha fatta. Poi il niente. Ti ritrovi in un palazzo sventrato, pieno di immondizie: lo chiamano “la casa dell’inferno”. Ogni etnia ha il suo spazio e monta la guardia per non essere derubata. Alla fine hai più sonno che fame.
Senza documenti per i servizi sociali non esisti; in ospedale non vai, o ti segnalano alla polizia; nessuno ti dà lavoro, e senza lavoro niente casa. Fascisti picchiano, cittadini denunciano, qualcuno ti insulta perché “ci togli il lavoro”. Solo tre tipi di persone si fanno vedere lì: sciacalli che fanno foto per fingersi benefattori e spillare soldi in giro; prostitute; e spacciatori. Chi ti vuole aiutare non può entrare, o commette reato; non può portare cibo, o commette reato; non può segnalarti ai servizi sociali, ai medici o al Comune, perché ti arrestano.
Gli spacciatori vogliono assoldarlo e molti accettano per sopravvivere e sballarsi gratis. Abdou si rifiuta, ma non può denunciare e fugge in un’altra città. È così che il degrado vince. Nell’altra città non trova nulla, e torna. Sconfitto. L’unica gioia è il cellulare, per vedere la mamma in videochat: le dice di stare bene, perché “è inutile farla preoccupare”. Vive di stenti, ma riesce a mandare qualche euro a casa ed è un trionfo.
Questa mattina è stato svegliato presto da quaranta auto della polizia e camionette, con gente che correva e gridava. È fuggito e ha lasciato tutto ciò che aveva. Ha girato lì intorno tutto il giorno, ma hanno murato ogni via d’accesso: stanotte niente sacco a pelo, niente fornelletto, nessun riparo. È inverno, la notte fa freddo… Uno sgombero in pieno inverno è una condanna senza processo. E quando il freddo uccide, il freddo è il nostro boia.
È passato in parrocchia. Vaga per Roma. Sono allevatori, falegnami, alcuni hanno una laurea. Desiderano essere guardati, essere chiamati per nome. Hanno sogni, coraggio, fede, hanno da raccontare più storie dei nostri anziani, ma sono dei ragazzi. Oggi sono feriti. Il cellulare scarico ti dice che oggi non vedrai il volto dei tuoi cari. Non so se rimarrà in Italia, ma in un mondo occidentale, disilluso e morente, abbiamo tanto da imparare da lui. È bello averlo conosciuto. Chissà se lo rivedo.
don Domenico, parroco a “S. Tommaso d’Aquino”
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