Il riscatto dalla droga

Il Sert per il momento è lontano, nella geografia e nel cuore

Francesca fuma crack. Ha figli; tutti sanno di lei nel vicinato. Un pomeriggio corre in parrocchia, piange, vuole uscirne: è un combattimento straziante. La abbraccio e chiamo una comunità: no, si passa prima dal Sert. Chiamo la sede di Tor Pignattara, ma dicono di rivolgersi a Giardinetti. Chiamo Giardinetti: gentili, ma… appuntamento tra una settimana. Spiego che chi ha dipendenze non ha una volontà forte e una settimana è lunga. Niente, una settimana.

Lei resiste e andiamo insieme. Lo psicologo è accogliente, ma senza documento non si comincia e lei è uscita senza, neanche aveva capito dove la portavo. Il colloquio si fa lo stesso. Lei si apre, lo psicologo ascolta: l’urgenza è evidente, perché lei non dorme, vive per la droga e dice, con soddisfazione, che non si è mai prostituita, e questo le dà un senso di dignità. Lo psicologo capisce e le dà appuntamento dopo tre giorni.

Adesso pensa di potercela fare. Mentre torniamo arriva una telefonata dal Sert: siamo fuori della loro zona di competenza, di poco, ma fuori. Il primo Sert chiamato aveva torto. Lei si incupisce, io insisto per restare con loro; viviamo trenta minuti di speranza: niente eccezioni, avrà un altro appuntamento, dovrà aspettare. Torna a casa dal compagno, anche lui tossico.

È giusto: ci sono le procedure, le competenze, regolamenti e protocolli, e tutto deve seguire un ordine. Non vi possono essere eccezioni in un mondo giusto. È in un altro mondo, però, che vivono questi strani esseri che mal sopportano le procedure, non conoscono competenze, fragili animali che non sanno di protocolli e vivono una vita non scandita dagli orologi ma dai bisogni.

Un’operatrice di Tor Pignattara si mette in contatto con me. È gentile e competente e mi spiega tutto. Ha ragione, la presa in carico è complessa e ha i suoi tempi. L’attesa è la prima lezione per chi ha cercato il piacere immediato della droga. Ci vogliono mesi prima di una comunità. Le regole proteggono dagli errori, e quella che vogliono regolarizzare è una vita di errori. Sono due mondi diversi, che si toccano quando la disperazione riempie il tempo dell’attesa, o quando chi viaggia sulle procedure accetta di deragliare. È così: se incontri chi ti ascolta sei disposto ad attendere, e i fogli appesi negli uffici non li si consulta se guardi le persone negli occhi, e queste hanno un nome, una voce, un odore.

Tutti gli uffici hanno una sala d’attesa; per chi non sa aspettare e vaga senza speranza e senza meta ci vorrebbero piccoli furgoni fuori strada che li raccolgano. Non deve restare solo, chi cammina senza meta.

Francesca verrà ancora e comincerà con me il suo percorso, anche se il compagno non vuole; la droga occupa il tempo di entrambi. La parrocchia rimane però il luogo di un possibile riscatto, lei lo sa. Non potrò però essere sempre io ad accompagnarla. Il Sert per il momento è lontano, nella geografia e nel cuore. Bisogna tenerle la mano, nell’attesa. E per chi è ancora fuori, quanti furgoni fuori strada riuscirò a trovare?

don Domenico, parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 4 Marzo 2022

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