Boom di nascite e boom di prezzi

don Domenico Vitulli, parroco a S. Tommaso d’Aquino – 22 Febbraio 2023

Alle 17.28 del 9 novembre del 1965 su New York e il nord est degli USA, seguiti a ruota dagli stati del sud del Canada, calò l’oscurità. Lo stato di New York fu il primo, successivamente furono colpiti anche il Massachusetts, il Connecticut, Rhode Island, il Vermont, il Maine, il New Hampshire e due province canadesi. Era il primo blackout su vasta scala della storia.

La cosa era così nuova e sconcertante che persino i ladri si astennero dal rubare: ci fu infatti in quelle ore un calo dei reati. Si sparsero addirittura voci di extraterrestri per alcune luci inaspettate nei cieli. Erano tempi in cui cinema e televisione avevano invaso la vita di ogni americano ed improvvisamente non funzionavano. Le cause dell’interruzione di corrente non si sono mai chiarite ma, sebbene mai ufficialmente confermato, sembra che 9 mesi più tardi – intorno all’agosto del 1966 – vi fu un netto incremento delle nascite. Sappiamo quindi ora che, lungi dal deprimersi o spaventarsi, il blackout spinse cittadini onesti e no a tirare fuori le candele e ad approfittare di un’atmosfera diventata improvvisamente romantica. Non ci potette essere alcuna musica di sottofondo, ma bastarono il buio e la noia. Robert Wagner, all’epoca sindaco di New York, definì il blackout «la più bella notte della città», e possiamo intuire il perché.

Ho ricordato questo lontano episodio di cronaca perché di recente, proprio in questo inverno del 2022-2023, il governo italiano sembra seriamente preoccupato della denatalità: nascono pochi bambini e siamo al secondo posto come nazione con maggior numero di persone anziane (il primo è il Giappone): non ce ne abbiano gli anziani, è che siamo preoccupati della vecchia fama dell’Italia come “paese dell’amore”. Siamo diventati il paese dell’amore platonico. E non sono solo gli italiani a non fare figli, ma anche i migranti stabilitisi in Italia, appena arrivano, sembrano perdere la voglia di metterne al mondo: il fatto non è lusinghiero.

C’è chi invoca maggiori permessi parentali, chi propone la tassazione familiare e chi spinge per maggiori incentivi; si escludono a priori invece un minor precariato lavorativo e un più facile di accesso al credito, o maggiori fondi alla politica sociale, tutte soluzioni ritenute “demagogiche”. Io una soluzione ce l’avevo, ma penso che lo stato italiano mi abbia già preceduto.

È un colpo di genio riuscire a mettere d’accordo industriali e famiglie, stato e cittadini, sviluppando inoltre il made in Italy e recuperando tradizioni e immagine internazionale, ma eccolo: fare come a New York nel 1965! Tutti al buio per un po’!

Certo non siamo più nel 1965 e dalla elettricità dipendono ormai troppe cose: computer e telefonini fuori uso bloccherebbero persino le attività più vitali negli ospedali. E allora? Allora il blackout lo facciamo realizzare dagli stessi cittadini, a piccole dosi: aumentiamo i prezzi dell’elettricità, così che ne possano usare meno; aumentiamo il prezzo del gas, in modo che debbano ricorrere ad altri mezzi per riscaldarsi. Il blackout sarà personalizzato, liberamente scelto per risparmiare. Gli industriali cercano soldi e noi permettiamo loro di speculare sul prezzo delle fonti energetiche senza problemi. Le famiglie desiderano risparmiare e sentirsi unite nell’amore, e noi gliene diamo l’occasione. Lo stato vuole l’incremento della natalità e noi creiamo l’opportunità. Tutti contenti. Il buio e il freddo degli appartamenti sono i nuovi mezzi per un po’ di romanticismo, senza inoltre la distrazione dei social. Torneremo ad essere il paese dell’amore. Si mangerà a lume di candela senza mettere su Facebook la foto dei piatti; i ragazzi si conosceranno tra loro senza balletti su Tiktok e i fidanzati scopriranno che senza WhatsApp certe cose si dicono meglio. Spinti dalla mancanza di internet le coppie torneranno a guardarsi negli occhi e si ricorderanno dei loro primi momenti insieme, sentiranno di nuovo la prima attrazione; spinti dal freddo si riabbracceranno e ricorderanno quando i brividi che sentivano non erano di freddo. Il governo non dovrà fare leggi che potrebbero scontentare qualcuno e i bambini infine nasceranno, invertendo la tendenza statistica. I neogenitori saranno i primi a ringraziare il rigido inverno per aver fatto loro riscoprire emozioni sopite.

La mia è solo un’ipotesi, ma forse è per questo che non viene fermata l’ascesa dei prezzi. Non se ne parla sui giornali, nessuno vuole dirlo, secondo me per non togliere spontaneità alla situazione. I nostri governanti sono dei geni: tra vent’anni, come a New York nel 1965, festeggeremo l’inverno più bello che abbiamo avuto in Italia. Il boom delle nascite dal boom dei prezzi: è questo l’esperimento sociale. In fondo è l’unica risorsa che lo stato ci offre al momento per svecchiare l’Italia. E allora che dire? Speriamo che i prezzi aumentino e l’inverno continui rigido e piovoso… una nuova generazione ce ne sarà grata.

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 22 Febbraio 2023

Darwin a pranzo

Invitiamo anche lui a pranzo con i poveri e forse vedremo anche lui gioire di una fratellanza umana ritrovata

Le leggi di natura preferiscono la sopravvivenza del più forte e così l’evoluzione della specie va verso il meglio, il più adatto. Così insegnava Darwin, a quanto dicono. Questo non appartiene però all’essere umano, lo sentiamo nel profondo del nostro essere che non siamo fatti per questo. Chi ha teorizzato l’omicidio di disabili fisici e mentali è stato giudicato malvagio. Eppure si chiede ad esempio allo Stato qualcosa di simile, in maniera civile, certo, in nome di qualche bene comune. I migranti sono i benvenuti, dicono alcuni, ma non vicino a casa mia; i poveri devono essere aiutati, ma non vicino a dove lavoro; ai disabili concediamo pure dei sussidi, ma non vengano nel nostro albergo a rovinarci le vacanze: questa non è una selezione tra chi può accedere ad una vita in cui altri non devono poter entrare, neanche per vivere delle briciole?

Si mettono barriere per impedire l’ingresso ai senza fissa dimora. E va bene. Si chiudono le nicchie di una galleria per non farveli dormire. E va bene. Si chiede la chiusura dell’ostello e della mensa Caritas nelle vicinanze. È per il decoro urbano. Il decoro infatti non è combattere la povertà, ma nascondere i più poveri in qualche periferia. Poveri in mezzo ad altri poveri per rimanere poveri, senza disturbare chi potrebbe forse aiutarli, ma neanche li vuole vedere: è in nome del decoro. Il decoro urbano mostra la mancanza di decoro umano. Per il bene della città – o per il bene degli affari – si toglie quel poco di bene che possiede chi ha nulla.

L’ondata di migranti in arrivo cresce. La povertà si è estesa anche ai lavoratori, resi precari per legge. La distruzione della famiglia ha isolato le persone, rendendole ancora più vulnerabili. Si sono messi i poveri contro poveri per far loro dimenticare la ricchezza crescente dei pochi ricchi. I migranti sono rinchiusi per strada, portati a delinquere; i poveri da lavoro precario vivono sotto ricatto; i giovani trovano nelle gang quell’appartenenza che a casa non c’è; e a chi ha difficoltà ad arrivare a fine mese viene detto che è colpa dei migranti, dei precari, dei piccoli delinquenti e dei senza fissi dimora. Il capolavoro del capitalismo – i poveri sono poveri perché se lo meritano, non hanno diritto ad alcuna solidarietà – è anche il trionfo del comunismo storico – un’élite che governa una massa di poveri. I vecchi nemici ora brindano insieme.

Sono interessi diversi che confliggono. E va bene. Non è il decoro urbano però il principio da cui partire: è il decoro umano, il decoro di comportarci da esseri umani, non secondo le leggi di una natura selvaggia, ma secondo la nostra natura più profonda. Non si dovrebbe pensare a come nascondere i poveri, ma a come fare perché possano avere tutti, quelle persone che dormono sotto il mio portone, un luogo che li accolga; come possano essere assistiti tutti, se hanno problemi mentali, di alcolismo, di droga; come possano avere tutti dove lavarsi, cambiarsi, nutrirsi. Di questi pochi luoghi che queste cose le offrono, forse, ne andrebbero aperti altri, sparsi per tutto il territorio cittadino. Non chiudere, ma aprire altri luoghi dove farsi vicini ai più poveri; non concentrare in ghetti sociali, ma spargere per far partecipare più gente: non sarebbe questo più consono a ciò che sentiamo nel cuore? Non sarebbe un mondo più umano, questo?

L’istinto che abbiamo, le azioni che sentiamo più umane, ci portano alla “legge del più debole”, alla preferenza per il più bisognoso, a seguire il passo del più lento. L’accudimento del bambino, dell’indifeso, dell’ignorante, del limitato ci rende civili. La civiltà nasce da questo: proteggere la maggioranza dalla violenza dei pochi più forti. È il succo di una società democratica. E se anche Darwin non dovesse essere d’accordo, non importa, invitiamo anche lui a pranzo con i poveri e forse vedremo anche lui gioire di una fratellanza umana ritrovata.

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 21 Febbraio 2023

La scuola parentale

Ecco come funziona. Si può fare e già si fa

Mamma mia che stress la scuola! Interrogazioni, compiti in classe, professori strambi e professori in gamba… Siamo o siamo stati tutti studenti. È un’esperienza che ci segna profondamente. Tutti vorrebbero migliorare la scuola, ma spesso senza un’idea precisa di come dovrebbe essere. Si dice che le famiglie dovrebbero essere più coinvolte, ma poi, senza consultarle, si insegnano valori e idee stabiliti dal governo di turno o dal singolo insegnante. Si dice che essa debba offrire spazio a tutte le opinioni, eppure, nella pratica, si nasconde la fede di un Gaudì, si minimizza l’apporto filosofico di un Tommaso d’Aquino e si mettono in cattiva luce epoche e personaggi secondo criteri ideologici. Nell’età in cui si avrebbe bisogno di figure forti di riferimento e di idee appassionanti, ora si offre ai giovani un “politicamente corretto” banale e insapore. Si vede la scuola come luogo di socializzazione, ma l’istituto è scelto per la sua vicinanza a casa e i ragazzi incontrano quasi sempre giovani del loro stesso quartiere, dello stesso ceto sociale e con dinamiche familiari simili: vivono così veri ghetti sociali. Il tempo pieno è l’ultimo mattone, infine, che li rinchiude nel solo ambiente scolastico per anni, e così si sviluppano strutture mentali chiuse, predisposte a bullismo e intolleranza. La scuola è palestra di vita, dicono, e con questa convinzione si lascia vivere ai ragazzi ogni genere di esperienza, come se tutte fossero legittime e inevitabili. Per diventare esperti di vino è forse bene provarli tutti fino a ubriacarsi con quelli in cartone del supermercato? Non è più utile, per affinare il gusto, bere solo vini pregiati, assaporare solo i migliori? Eppure…

Esiste però chi ha trovato il modo di dare ai propri figli ciò che ritiene migliore e si mette insieme ad altri, sceglie gli insegnanti, condivide i metodi educativi più efficaci. È un’assunzione di responsabilità della famiglia, è la scuola parentale. In case private, oppure presso parrocchie o centri culturali, scegliendo il proprio metodo didattico, educando a particolari valori, sentendosi tutelati da un ambiente protetto, le famiglie si organizzano e trovano il modo di finanziarsi per assicurare l’istruzione migliore ai loro figli.

La nostra Costituzione lo permette e i tempi che viviamo forse lo richiedono, vista la crescita esponenziale che la scuola parentale sta sperimentando in molti paesi, compresa l’Italia.

All’articolo 30 la Costituzione recita:

«È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti».

La scuola pubblica, o privata, hanno un ruolo di supporto della famiglia, non sostitutivo; compito dello Stato è quello non di autorizzare, ma di verificare che l’istruzione sia effettivamente impartita.

«In caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente, ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza. Tali alunni o studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione» (Decr. Lgs. 13/04/2017 n. 62 art. 23).

Ecco come funziona. Si può fare e già si fa.

Come ci si finanzia? Con soldi propri, organizzando raccolte e partecipando a bandi. Si continua a sostenere la scuola pubblica con le proprie tasse, pur non usufruendone se non in parte. Coloro che scelgono la scuola parentale la scelgono, nonostante tutto, non per comodità economica o di vicinanza, ma per dei valori che desiderano trasmettere; la scelgono per permettere ai loro figli di conoscere giovani di quartieri distanti, di ceti sociali diversi, e attraverso una migliore gestione del tempo garantire loro quella cultura esperienziale – con i loro hobby – che è tanto importante alla loro età.

Si sente la necessità di ricostruire un tessuto sociale slabbrato, dove è ai margini il ruolo educativo della famiglia, dove si ha paura della varietà culturale e non si sa più godere della bellezza di una relazione umana; si è consegnato, a istituzioni senza volto, ciò che di sé ciascuno lascia in questo mondo: la propria esperienza di vita trasmessa ai figli.

La scuola, secondo alcuni politici, dovrebbe mirare alla formazione di lavoratori e di manager, e con questa visione sono nate nuove iniziative e leggi. La scuola parentale può però offrire l’occasione di riconoscere altre visioni ed altri obiettivi, può presentare alla scuola pubblica il modo di trasmettere in modo appassionato i valori scoperti e approfonditi dalle generazioni precedenti. La scuola può ancora scegliere di diventare non solo formatrice di lavoratori e consumatori, ma di esseri umani completi. Anche e soprattutto questo ci può insegnare la scuola parentale.

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 16 Febbraio 2023

In marzo nuovo appuntamento con Una Cucina in Comunità dell’Associazione SinergicaMente

Presso la Parrocchia San Tommaso  d’Aquino a Tor Tre Teste

Ricordate il primo appuntamento di Una Cucina in Comunità dal 28 marzo al 6 giugno 2022?

Ricordate Il secondo percorso formativo di base in Una Cucina Multietnica  dal 3 ottobre 2022  al 12 dicembre 2022?

Ebbene ora si riparte. Nel mese di Marzo 2023 l’Associazione SinergicaMente ha in programma il terzo corso di Cucina Multietnica. Non ci sono ancora date prefissate ma l’associazione chiede adesioni all’iniziativa.

Eventuali candidati potranno segnalarsi alla mail dell’Associazione: sinergicamenteassociazione@gmail.com

o al numero di telefono 3887390676

Attilio Migliorato

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 5 Febbraio 2023

Gli incontri biblici in chiesa a Tor Tre Teste

Dal 28 gennaio all’8 luglio nella Parrocchia di San Tommaso d’Aquino in via Campari 84

Redazione – 26 Gennaio 2023

Ecco il calendario degli incontri incontri biblici in chiesa che si terranno dal 28 gennaio all’8 luglio 2023 nella Parrocchia di San Tommaso d’Aquino in via Campari 84 a cura del parroco don Domenico Vitulli.

Il primo incontro avrà per tema: Maria nel Nuovo e nel Vecchio Testamento.

Redazione di “AbitareA”

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 26 Gennaio 2023

Le nove, anzi dieci cose che ho imparato da Mario

In parrocchia viene Mario. Vive in mezzo alla strada da quando aveva 14 anni; adesso ne ha 56 e non si può aiutare. Non vuole la Caritas, non accetta di essere schedato e interrogato. La strada ti modifica, vivi allo stato brado. È un mondo parallelo.

L’ho incontrato che ero in auto. Mi chiede soldi ed io gli dico di venirmi a trovare. Viene e racconta, ma si interrompe in continuazione per assicurarsi che poi qualche soldo glielo do. Ora viene regolarmente, quando non ce la fa più. Ho imparato a conoscerlo, e anche tante cose da lui. Me ne vengono ora in mente nove:

  1. I soldi sono preziosi. Quando sei ricco, puoi disprezzarli. Quando sei povero, non li disprezzi. Lui li prende, li rigira, li stira e comincia a contarli: «quindici per l’ostello, otto per il barbiere, dieci per Francesco che ne ha bisogno… no, quindici per l’ostello e se do dieci mi rimangono cinque… non è che hai altri tre euro? …no? allora…», e ricomincia, e poi li piega e li mette in tasca. Io non faccio caso a tre euro, a lui fa la differenza. I soldi sono preziosi se non li hai.
  2. Un abbraccio è la cosa più importante. Quando viene, si appoggia al citofono e grida disperato: «don Domenico mi ha abbandonato». Viene quando muore di fame e una volta ha scavalcato perché inseguito da ragazzi che lo prendevano a bastonate. Mi abbraccia forte, non vuole mangiare, non vuole essere lasciato solo: «Mario, devo andarti a prendere da mangiare, aspettami qui»; «dove vai? ma te ne vai?» Devo minacciarlo: «sei magro magro; non ti do un soldo finché non mangi e non mangi tutto». E lui mangia, ma devo stare lì, e la banana dobbiamo mangiarla metà per ciascuno. E prima di andare mi abbraccia. Un abbraccio è la cosa più importante.
  3. Con gli amici si può piangere. Ai ragazzi viene insegnato che no, un vero uomo non piange. Mario quando mi vede piange. Quando ti senti a casa puoi piangere, con un amico puoi tirar fuori ciò che senti, senza pudore. Con gli amici si può piangere.
  4. Basta poco per vivere. Un posto all’ostello contro il gelo invernale e per usare la doccia, qualche soldo per la colazione – tanto al pranzo ci pensano le mense sociali e la cena è un lusso – e qualche soldo per il barbiere o qualche medicina. Non è abituato a grossi pasti. Non vuole ciò che non può consumare. Il superfluo pesa e basta poco per vivere.
  5. La dignità nel vestire e nel lavarsi noi non la consideriamo. Diamo loro vestiti e pretendiamo che li accettino. Però il blu e il nero non vanno insieme. Va bene essere poveri, ma vestire con i giusti colori, le giuste taglie, gli abbinamenti giusti è questione di dignità. La dignità ti fa stare in piedi, non ti fa cadere nel baratro della resa. È questione di sopravvivenza la dignità nel vestire e nel lavarsi.
  6. Non si può vivere senza un amico povero con cui condividere le difficoltà della giornata. Abbiamo bisogno di compagni. Mario si presenta un giorno con una ragazza che tratta da figlia, ma che dopo pochi giorni lo deruba e scappa. Passano pochi giorni e mi presenta un nuovo giovane. Non si può vivere senza un amico.
  7. Puoi diventare invisibile. A quattordici anni sei in mezzo alla strada e nessuno interviene. Arrivi a più di cinquant’anni e vaghi senza che nessuno ti presti attenzione. Ho visto uomini agonizzare senza alcuno che si fermasse. Sulle persone neanche ti ci soffermi e alla fine non le vedi più. Anche tu puoi diventare invisibile in una città.
  8. La rabbia non crea legami. Puoi vivere di rabbia, ne avresti ragione, ma nessuno si lega a chi è arrabbiato e tu hai bisogno di risultare simpatico. La rabbia è un lusso di chi sta bene. Se sei povero, non puoi risultare antipatico. La rabbia non crea legami.
  9. Saper sparire è avere rispetto. Mario lo sa che se viene troppo spesso potrei cacciarlo, lo ha vissuto tante volte. Ogni volta quindi mi chiede quando può tornare. Insiste, vuole sapere i giorni esatti e li conta e controlla la data e la ripete. Vuole essere certo. Viene quasi sempre uno o due giorni dopo, per essere sicuro. Saper sparire è avere rispetto, il suo modo di avere rispetto per me.

Esiste una decima cosa che ho imparato da Mario, la più importante: lui ha libero accesso al cuore di Dio; io vi entrerò invece solo gridando al citofono: «sono amico di Mario».

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 29 Gennaio 2023

«Se ami qualcuno, rendilo libero»

Dedicato ai “proprietari” di cani

In questo quartiere di cani, ci vivono anche degli esseri umani. Li vedi aggirarsi la mattina presto, portati a passeggio dal loro cane che ne approfitta per fare i bisogni alla loro presenza. Li scorgi piegarsi a raccogliere le feci del cane, li ammiri mentre li allenano al parco, mentre li portano dal veterinario, fanno le compere di cibo e vestitini. Non entrano dove i loro cani non possono entrare e aspettano fuori dai luoghi riservati ad essi. Spendono soldi, tempo e salute per il benessere del cane, e si fanno chiamare “padroni”.

In questo quartiere abitato da tanti esseri umani, ci vivono numerosi cani. Il loro istinto li porta a vivere in branco, ma sono isolati con uno o più umani. Vivrebbero all’aria aperta, ma passano la maggior parte del tempo chiusi in un appartamento. Hanno i loro ritmi, ma un guinzaglio li strattona senza che ne capiscano il senso. La loro natura li spinge alla caccia, ma vengono loro dati croccantini con sapori artificiali. Vorrebbero avere dei cuccioli, ma li si sterilizza. Però chi li costringe a tutto questo dice di amarli.

C’è qualcosa che non torna. Lo si esalta, il cane, ma in sé non è buono né cattivo, segue semplicemente le leggi della sua natura, se non viene costretto. Il cane obbedisce perché non ne può fare a meno, per convenienza o addestramento. Il cane è una creatura meravigliosa, quando può essere ciò che è: un cane. La sua umanizzazione non lo rispetta, fargli vivere la nostra vita è una violenza. Chi lo ama ne rispetta la natura, lo lascia essere così come è stato creato.

Diciamo di amare gli uccelli, ma li mettiamo in gabbia; difendiamo i gatti e li castriamo; trattiamo i cani come dei figli, ma loro ne soffrono. «Sono al nostro servizio», dicono alcuni, ma il servizio è un atto di amore libero, viene da una scelta, e noi a loro non abbiamo offerto una scelta. Sono schiavi, schiavi del nostro desiderio di potere, o del nostro bisogno di affetto, o per colmare la nostra solitudine. Lo schiavo lo si ama perché soddisfa una nostra necessità, ma è blasfemo chiamare questo “amore”. E alla fine il cane che trattavi da schiavo ti rende dipendente dal suo servizio, diventa il tuo padrone.

Come li si ama, come si è amici degli animali? Gli amici si rispettano, si apprezzano, si scelgono. L’aria aperta è la loro casa: gliene offri una che possano apprezzare? Il branco è la loro famiglia: lasci che lo possano vivere? La caccia è il loro mestiere: cosa offriamo loro in cambio?

Mi ritorna in mente una vecchia canzone di Sting: “If you love somebody, set them free” [se ami qualcuno, rendilo libero]. La dedico a loro oggi.

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 4 Febbraio 2023

I volontari: un bianco splendente che illumina il mondo

«Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5).

Ho fatto parte di diverse associazioni di volontariato, come volontario e come membro del personale. Ho visto tante persone prestare aiuto. Molte persone venivano una o due volte, guardavano, giudicavano, facevano regali a destra e a manca e non tornavano più. Coloro che si inserivano, si prestavano a fare del bene per i motivi più vari e nei modi più diversi. Ho voluto oggi raggrupparli e ho individuato sei categorie, che ne comprendono, io penso, la maggior parte.

Credo che la categoria più numerosa sia quella degli empatici. Si identificano nell’altro in difficoltà; rispondono a una necessità immediata, si fanno vicino e si emozionano. In qualche modo curano sé stessi; infatti, se il loro aiuto non riesce, è ferita la stima che hanno di sé; se non si agisce secondo la loro modalità, ne va del loro orgoglio. Sono generosi, ma a volte rigidi, difficili da integrare in una associazione. Spargono lacrime di commozione, ma solo per coloro in cui si riconoscono. Melodrammatici.

Più comunitari sono i volenterosi. Uniscono al buon cuore l’intelligenza e diventano i promotori di leggi e iniziative. Sentono la responsabilità del ruolo e oscillano tra orgoglio e insoddisfazione. Sono al centro di tante attività, che gestiscono da soli, consapevoli delle proprie capacità. Se ne vanno però quando il servizio diventa umiliante o non sono apprezzati, perché vengono per un bisogno di socialità e appartenenza. Sono spesso i più presenti, a volte anche fin troppo, finché ci sono.

Contrari a loro sono le persone-ombra. Non si vedono e non si sentono. Operano in modo solitario e indipendente. Specializzati in un campo, vi si dedicano senza clamore, a volte anche da casa. Sono pratici, affidabili, non cercano riconoscimenti. Seri e competenti, non creano però comunità, non coinvolgono altre persone. Non proponete loro un incontro, accamperanno mille scuse.

Diversi sono gli ondeggianti, coloro che partecipano, ma per un po’, poi spariscono, per riapparire quando ormai li si è dati per dispersi. Non è che lo vogliano, è che sono proprio fatti così e non possono farci niente. Gli elenchi delle associazioni sono pieni dei loro nomi, e quando stanno per essere cancellati riappaiono allegri e pimpanti. Non ci puoi fare affidamento, ma non riesci a scrollarteli di dosso.

Per fortuna ci sono gli umili, affidabili e sereni. Non vogliono che dare un contributo e per questo rimangono tranquilli in ogni circostanza. Coinvolgono altre persone e sono il sostegno di ogni altro volontario. Si sentono fratelli di tutti e non scelgono un proprio ambito di intervento, ma vanno dove le circostanze li portano, e non si stupiscono della fragilità altrui ben conoscendo la propria. Possono non essere perfetti, ma si correggono facilmente. Puoi ignorarli o maltrattarli, ma non appena gliene darai l’occasione ti sorrideranno più di prima. Incrollabili.

Ci sono infine gli infiammati di carità. Sono rari. Hanno empatia, ma la completano con la fratellanza universale; fanno volontariato, ma non per uno sforzo della volontà. È l’amore che li spinge a donarsi; non hanno bisogni, è il cuore che li guida. La carità è la perfezione del volontariato, chi opera per essa non si riposa, perché non agisce in base a sentimenti o ragionamenti, ma per la forza che ricevono da Dio. In loro è spontanea l’accettazione dell’altro, non è scossa dal fallimento; sanno di essere utili, ma non se ne compiacciono; sanno che ogni gioia è effimera e vorrebbero donare piuttosto la gioia eterna di conoscere Dio. Hanno però un bisogno estremo di Dio: se non pregano, sentono fatica e nervosismo, non riconoscono più un fratello nell’altro, si spegne in loro l’amore e il servizio si riempie di recriminazioni e lamentele. Chi opera per carità è il più forte dei volontari, ma potrebbe diventare il peggiore. Sono angeli di carità o dèmoni di ipocrisia.

È bella questa varia umanità. Alla fine, ho imparato che ognuno fa quel che può con ciò che ha, con i suoi limiti e le sue ricchezze. Ognuno brilla in modo diverso, ed insieme valgono più della loro somma. Uniti sono come la fusione di tutti i colori: il risultato è un bianco splendente che illumina il mondo.

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 8 Febbraio 2023

È bello il Carnevale, ma io, scusate, preferisco il Paradiso

Il Carnevale resiste senza Arlecchino e Pulcinella, ma con principesse e personaggi aggiornati. È sempre Carnevale, il giorno in cui non ci si prende tanto sul serio e puoi essere diverso. I bimbi indossano le vesti di chi ammirano e gli adulti giocano a essere bambini. È un giorno di libertà da quei ruoli a cui il lavoro ci costringe giorno per giorno; è la gioia da gustare prima della penitenza quaresimale.

Il Carnevale è festa tutta umana. Non c’è l’inferno delle fatiche quotidiane e delle sue prigioni, non c’è il purgatorio delle meditazioni della Quaresima, non c’è la gioia soprannaturale della Pasqua. È la gioia di esser vivi, di giocare come in un limbo di bambini, la gioia tutta terrena dello scherzo e del ridicolo. Per un giorno apparteniamo a questa terra, non con gli impegni che ci siamo costruiti, ma con la serenità di quel paradiso, tutto terreno, in cui siamo stati creati. Per un giorno siamo solo umanità, allo stato puro.

Il Carnevale è bello, perché scopriamo che senza tailleur e senza cravatte ci si vuole bene ancora di più, che prima della stima sociale c’è la gioia di stare insieme. Sembra che non possiamo aspirare a nulla di meglio, che la Quaresima venga a rovinare tutto: non si fanno feste, i colori sono scuri, gli altari spogli, un tempo a Roma erano chiusi anche i teatri. È un ritorno alla realtà, per prendere consapevolezza della nostra fragilità. È triste la Quaresima, eppure è necessaria. Bisogna distruggere per poter ricostruire.

Il Carnevale è insidioso. Per un giorno rompi ogni regola, ma torni a rispettarla ancor più schiavo il giorno dopo. La Quaresima è purificante, è rivoluzionaria, se la vivi davvero: rimette in discussione ciò che sei e ciò che fai, e tu guardi con franchezza quello che hai realizzato. E lì ti accorgi che sei ancora schiavo, che il Carnevale non è sufficiente a giustificare anni vissuti senza meta. La Quaresima ti fa vedere ciò che manca. È qui che scopri se sei ora come ti immaginavi da ragazzo.

No, il Carnevale non basta. È umano, ma è solo umano, e noi abbiamo cieli immensi dentro, abbiamo desideri di cose definitive, eterne. È la Pasqua ciò a cui davvero aspiriamo senza  accorgercene: un’esistenza di amore senza fine, di gioia senza tristezze, di libertà senza tempo. È la risurrezione del nostro corpo, la purificazione del nostro cuore, la luce nella nostra intelligenza e l’amore di Dio che ci avvolge: questa è la nostra sorte. La Quaresima ti fa alzare gli occhi verso il cielo. La luce della Pasqua illumina poi la strada per rimanere liberi nei giorni senza feste, per mantenere il cuore semplice senza coriandoli e dolciumi, per volersi bene anche nei giorni della fretta e degli impegni. La Pasqua costruisce ciò che ti porti in Paradiso.

È bello il Carnevale, ma io, scusate, preferisco il Paradiso!

don Domenico Vitulli, Parroco a S. Tommaso d’Aquino

Articolo apparso su “AbitareA Roma” – 26 Gennaio 2023

Tor Tre Teste. Intervista al parroco di S. Tommaso D’Aquino don Domenico Vitulli

Circa tre anni fa lessi una recensione su Google: “Ottima parrocchia con un parroco eccellente e consigliato per famiglie con bambini.” Recensione precisa.

Qualche tempo dopo, sono stato Invitato a dare una mano dal mio amico Angelo Barletta, sono due anni che alleno i Piccoli Amici 2013/2014, piccola squadra di calcio dell’oratorio della parrocchia.

Quindi frequentemente incontro Don Domenico Vitulli, non solo per il calcio, ma anche per i vari progetti che con la sua Parrocchia porta avanti sul territorio di Tor Tre Teste e non solo. Per citarne alcuni:

  • Una cucina in comunità, con l’associazione APS Sinergicamente, percorso formativo nel mondo della ristorazione
  • Progetto lavoro, per creare un punto d’incontro tra richieste e offerte di lavoro
  • Incontri biblici in chiesa a Tor Tre Teste
  • Progetto per allenamenti motori ai bambine/i, con la sindrome di down o disturbi dello spettro autistico, il sabato mattina
  • Tor Tre Teste, un quartiere e una comunità alla ricerca della sua identità
  • Corso sull’uso dello Smartphone e delle APP

Ottima persona, ottimo giornalista, anche e sacerdote abile comunicatore. In accordo con il nostro direttore, abbiamo pensato di chiedere a don Domenico di rilasciarci una piccola intervista. Siamo stati lieti della sua accettazione, e lo ringraziamo.

 Quando hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo della fede?

Il mio primo ricordo di Dio è molto precoce;  dovevo essere di età da asilo quando in campagna percepii la presenza di Dio che mi abbracciava. Poi il catechismo montessoriano, l’esempio di mia madre e l’incontro con bravi sacerdoti mi hanno fatto crescere. L’incontro con un figlio spirituale di Padre Pio mi ha portato al sacerdozio.

Quali sono stati, finora, il momento più bello e il momento più brutto del tuo percorso  sacerdotale?

Naturalmente il momento più bello è il giorno della ordinazione, quando Papa Benedetto XVI ha pregato su di me e poi l’ho abbracciato. Quanta gioia!

Il momento più brutto è stato quando dei miei confratelli ed amici hanno lasciato il sacerdozio. Ti colpisce il fatto che, una volta chiamato da Dio ad una intimità perfetta con Lui, tu possa ancora desiderare qualcosa di diverso. È un grande dolore.

Quali sono, secondo te, i tuoi punti di forza e gli aspetti su cui, invece, credi di poter migliorare?

A un parroco è richiesto tantissimo: deve saper stare con persone di tutte le età, sapere un po’ di tutto, deve fare tante cose… In realtà la mia gioia vera è predicare, insegnare, catechizzare, a voce o per iscritto. Come il santo di cui porto il nome, la mia chiamata è soprattutto a evangelizzare. Di limiti ne ho tanti: sono disorganizzato, disordinato, di scarsa memoria e pieno di difetti spirituali… ma questi sono anche l’occasione per affidarsi ad altri e sviluppare con loro amicizia e collaborazione. Sono una benedizione i miei difetti!

Che cosa ti piace fare nel tempo libero? Quali canzoni, o generi musicali gradisci? Quali letture non possono mancare sul tuo comodino?

Tempo libero ne ho davvero poco. Quando ne avevo di più, suonavo la chitarra; quando posso, ora ascolto musica di ogni genere – mi piace in particolare la musica classica di autori viventi – e leggo saggi. Faccio anche dello sport per la mia salute fisica e psichica.

Se non fossi diventato un sacerdote e poi parroco, quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto fare?

Chitarrista rock o traduttore di opere letterarie, nei sogni. Io sono però una vocazione adulta – sono entrato in seminario a 35 anni – e avevo già un lavoro che mi piaceva e che pensavo sarebbe stato il lavoro della mia vita. Lavoravo a quella che ora è l’Università “Foro Italico” come segretario del Rettore, occupandomi di formazione permanente e di rapporti con le altre università europee.

Come si svolge la tua giornata tipo?

La sveglia è molto presto, per poter dedicare almeno un’ora (se possibile di più) alla preghiera e anche a un po’ di ginnastica. La mattina passa frenetica tra preparare gli incontri, gestire la struttura parrocchiale, tenere i rapporti con le realtà del quartiere e incontrare persone povere. Il pomeriggio comincia di nuovo con la preghiera e il caffè, per poi dividersi tra catechismo, gruppi parrocchiali e lavoro di ufficio. Sul tardi ci sono spesso riunioni e confessioni. La sera dopo cena ancora incontri, o di persona oppure online. La nottata si apre con la preghiera prolungata davanti al tabernacolo, per poi addormentarmi pacificato.

Ci sono mai stati alcuni momenti della tuo sacerdozio in cui hai  pensato di lasciare?

Quasi tutte le settimane, ma come forma di sfogo. Una volta sola ci ho davvero pensato, quando ho scoperto di essere malato e temevo di non poter proseguire il mio apostolato come prima. Il Signore però mi ha dato forza ed io sono ancora qui.

Per quali motivi, secondo te, un giovane che si approccia per la prima volta al percorso sacerdotale, dovrebbe scegliere di continuare a fare il sacerdote?

Solo per amore di Dio. Solo un amore grande come il Suo ti può spingere a rinunciare a tanto per poterlo ricambiare. La preghiera fa nascere amore e intimità con Dio e la carità verso il prossimo ti allarga il cuore per amare sempre di più. Non c’è paragone possibile tra le gioie della vita spirituale e le emozioni grossolane che ti può dare la vita comune. Possibile mai che Dio possa dare gioie inferiori a quelle che ci danno le Sue creature? Dio vince sempre.

Concludendo, ecco cosa si legge nella prima pagina dei sito della parrocchia:

“Mio Dio, non dimenticarti di me, quando io mi dimentico di te.

Non abbandonarmi, Signore, quando io ti abbandono.

Non allontanarti da me, quando io mi allontano da te.

Chiamami se ti fuggo, attirami se ti resisto, rialzami se cado.

Donami, Signore, Dio mio, un cuore vigile che nessun vano pensiero porti lontano da te, un cuore retto che nessuna intenzione perversa possa sviare, un cuore fermo che resista con coraggio ad ogni avversità, un cuore libero che nessuna torbida passione possa vincere.

Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti. “

(S.Tommaso D’Aquino)

Infine un’intervista con Licia Colò

Attilio Migliorato

Articolo apparso su “AbitareA Roma“- 27 Gennaio 2023